Quand’è che nasce una stella?

Pare che dietro una canzone si nasconda sempre un gran mistero: chi l’ha scritta! Almeno che non si tratti di canzoni d’autore, dove il cantante, che è il cosiddetto cantautore, è tanto orgoglioso del suo prodotto che se gli chiedi, per danno di ignoranza, chi abbia scritto la sua canzone, non ti parla per mesi.

Ad ogni modo, non è questo quello di cui vi volevo parlare oggi. Oggi che stranamente c’è il sole, che ho mille idee e zero modi per completare quel faticoso viaggio dall’idea alla realizzazione di sé, oggi che mi sono svegliata con mille dolori e mille scazzi, perché giocarsi le ossa per un lavoretto che dovrebbe essere un modo per sbarcare la crisi e invece si prospetta come l’unico modo per vivere ora e per sempre, mentre vedi i ricchettucci dei giorni d’oggi non alzare un dito e divertirsi tra week and in montagna e al lago, mentre io vorrei solo non avere dolori ovunque, e godermela anche io questa domenica. E invece oggi ho mille dolori e a mala pena riesco ad andare a fare una passeggiata.

Comunque, non ho aperto oggi per autocompiangermi. La cosa di cui volevo parlare all’inizio, quando ho aperto il mio tanto caro blog, era: da dove scendono le canzoni, belle come stelle comete? Com’è che si fa a creare una canzone? Vengono prima le parole? I ritmi? Prima la melodia? Prima la storia? Veniamo prima noi o ciò che ci circonda?

mattafix2.previewTutti questi pensieri mi son venuti stamane quando, appena sveglia, con ancora il caffè caldo tra le mani, ho aperto questa giornata con una canzone storica: Big CIty Life dei Mattafix. Purtroppo non so come installare plugin per le canzoni nel mio blog, ma se capitate da queste parti, e avete voglia di leggermi, accendete prima i Mattafix, e mi capirete meglio.

Ecco, appunto, volevo dire, canzoni come queste sono enormi. Enormi nel ritmo, tramortenti nel groove. Portano dentro non una storia, ma una dimensione di vita totale, la dimensioni dei cosiddetti sfigati, di quelli che sono un po’ fuori dal sistema dei fortunati. Perché si, nel 2013 la situazione è ancora questa: c’è chi naviga nel denaro, e chi non ha soldi nemmeno per pagarsi una visita medica, e questi ultimi non possono essere che dei pezzenti. Perché se il sistema società non è ancora in grado di garantire ai suoi cittadini di poter viversi la loro vita, cazzo, vuol dire che questo sistema ci considera ancora dei pezzenti, a noi che non siamo nati navigando nell’oro, per intenderci.

L’hip hop nasce per riportare nella musica la dimensione che fa rumore, la dimensione di coloro che non hanno la puzza sotto il naso, l’urlo di tutti quelli che vorrebbero solo dire: anche se non vesto di marca, i miei sogni sono belli come quelli di tutti gli altri.

Insomma, questo Monti e questo spread e questo borghesismo dilagante oggi più di ieri, vorrebbero annullare l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani, quell’uguaglianza che pensavamo di esserci conquistati un paio di secoli fa. E invece non è ancora così. Non lo è se ancora oggi la gente entra nel pub dove lavoro, si diverte a parlare di sinistra perché fa chic, e tratta me, cameriera, al pari di un cane rognoso. Nemmeno mi guardano in faccia, come se avessi una malattia contagiosa.

Ebbene ragazzi. L’hip hop porta nelle sue note serrate questa dimensione. La dimensione di chi alle favole non ci crede più da un bel po’.

Ehy, ragazzi,  non vi spaventate. Non ho certo perso la mia gioia di vivere. Sono solo molto ma molto incazzata. E sono convinta che oggi in Italia non sono sicuramente la sola.

René Art Novel

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